Omaggio al maestro


Alle 9.29 del martedì e del giovedì mattina, pioggia, vento, afa, inquinamento, neve, bombardamento, Trump, suona il campanello. Al di là della porta uno dei personaggi chiave della mia vita shanghaiese che presento su questo blog con un ingiustificabile ritardo. Lui è il maestro Wang, o Wang laoshi, l'uomo che ha avuto dal destino l'ingrato compito di insegnarmi cinese.
È arrivato in ritardo solo due volte - erano le 9.31 e mi ha mandato un sms di scuse alle 9.29.

Contro il maestro Wang la sfortuna si è purtroppo accanita due volte. La prima quando la scuola per cui lavora lo aveva assegnato ad Iduzzo che, nel giro di qualche settimana, aveva gettato la spugna perché il corso era troppo impegnativo. Pare, invece, che si sia trattato di una separazione consensuale poiché il coniuge aveva chiesto uno spostamento di orario che però a Wang non andava bene e quindi quale miglior occasione per scaricarsi a vicenda ?
La seconda quando, una decina di giorni dopo, la stessa scuola gli ha chiesto di insegnare alla sottoscritta e, tu guarda, proprio in quell’orario scomodo che non gli aveva permesso di esaudire la richiesta del consorte.
Nel mio caso, però, io credo lui abbia erroneamente intravisto un grande potenziale quando, al test per determinare il livello, ho capito come barare sulla traduzione di alcune frasi che sembravano ripetersi, facendo un'ottima figura. "Your Chinese is very good" mi ha detto serissimo.

Le prime lezioni sono state durissime. Novanta minuti di sofferenza in cui sentivo il cervello contrarsi e chiamare al raduno i pochi neuroni rimasti, per poi fondersi completamente con fumo dalle orecchie.
I miei ripetuti tentativi di divagare, con domande all'apparenza generiche ma in realtà mirate a saperne un po' di più sul mio quieto torturatore, venivano puntualmente ed educatamente stroncati.
Intanto il tempo passava lento e, trascorsa la prima mezz'ora, ne avevo già fin sopra i capelli perché, nonostante le apparenze, il cinese non è una lingua semplicissima. Nonostante infatti il maestro Wang ami ripetere che si tratta di una lingua very logical, io ho ancora le mie perplessità.
A momenti di esaltazione per essermi ricordata l'ennesimo vocabolo di tre lettere, con almeno cinquanta significati diversi a seconda dell'impercettibile accento con cui è pronunciato, ne seguivano di altrettanto frustranti.
 Ma il maestro Wang, lui, non si è mai dato per vinto e, anche ricorrendo ad assurdi ma apprezzabili incoraggiamenti del tipo : “Anna if you use this word, people will think you are a local !” – Sicuro ! – piuttosto che : “Your pronunciation is very good, you will be soon fluent in Chinese” - "Ma soon quando ?", mi ha sempre spronato ad andare avanti.

E piano piano, nonostante la sua estrema riservatezza, sono cominciati ad emergere dettagli interessanti della sua vita privata. Un passato da giornalista, carriera che ha dovuto interrompere non appena il lungimirante apparato cinese ha cominciato a mettergli i bastoni fra le ruote e a controllare eccessivamente il suo operato, censurandogli articoli e limitando drasticamente il suo raggio d’azione. 
Questa attività, dagli anni universitari a Pechino fino a quelli più maturi qui a Shanghai, gli ha comunque permesso di conoscere un sacco di gente e anche di un certo livello.
Oltre ad un ottimo inglese, durante frequenti soggiorni in Europa, ha imparato lo spagnolo ed io sospetto anche l’italiano nonostante lui sorvoli sull’argomento.
Il maestro Wang è decisamente l’uomo cinese più colto che io conosca qui a Shanghai e, attraverso le nostre acrobatiche lezioni, cerco sempre di portare l’argomento su qualche tema che m’interessi particolarmente, che sia un libro, un film cinese o una mostra d’arte.
Lui mi asseconda purché non si perda di vista lo scopo dei nostri incontri settimanali e quindi la conversazione deve svolgersi per quanto possibile in cinese. Mi trovo quindi spesso a riempire il mio quadernino di termini eruditi in cinese quando, però, mi servirebbero molto di più “pomodoro” o “latte”.
E anche quando, molto più banalmente, cadiamo nella quotidianità, il maestro Wang punta sempre alla lingua nobile senza rendersi conto di chi ha di fronte o, forse proprio perché demotivato dall’ennesima allieva occidentale incapace, si rifiuta comunque di svilire se stesso ed il proprio mestiere.
Un giorno gli ho chiesto di dirmi come si dicesse “bicicletta” perché quella mattina sarei andata a far mettere a posto la mia e mi avrebbe fatto comodo sapere un paio di vocaboli invece di ridurmi al solito ed estenuante gioco dei mimi.
Mi ha scritto una serie interminabile di caratteri, che infatti non ricordo, poi si è fermato e ha aggiunto : “There is also a more casual way to say bycicle : Danche.” Due caratteri invece di quarantacinque che, guarda caso, utilizzano tutti tranne, forse, i professori di letteratura cinese all’Università di Pechino. Un po’ come se ad uno straniero si insegnasse che “bicycle” in italiano si dice “velocipede” ma volendo anche “bici”.

I primi mesi, fino a Natale, sono stati ostici e, finita la prima ora e mezza post lezione, quando ancora fresca di lezione, scendevo in portineria e tentavo goffamente di avviare una conversazione con il doorman di turno, cercando di utilizzare più o meno tutti i vocaboli appena appresi, anche a sproposito : “Oggi non nevica. Il tempo è bello. C’è il sole”, quando a Shanghai non nevica mai e di inverno il cielo è, salvo rare eccezioni, beige smog, all’ennesima risposta che non capivo, e forse meglio così perché, secondo me, mi hanno anche dato dell’idiota, cadevo nella depressione più profonda.
Il fondo l’ho raschiato proprio la prima lezione subito dopo Natale quando il mio cervello si è categoricamente rifiutato di suggerirmi anche il termine più banale tipo “hao/bene” e persino il maestro Wang, dalla disperazione, ha iniziato a rivolgere discreti e rapidi sguardi all’orologio sperando che arrivassero presto le undici, ora in cui ci congediamo.

Poi la risalita. Nel giro di un paio di mesi non so cosa sia successo ma lo scazzo dei martedì e dei giovedì mattina, quando solo all’idea di dovermi macinare 90 minuti di sci,ge,gi,zuo,cian mi veniva il latte alle ginocchia, si è trasformato nel piacere di capirci un po’ di più nonostante la serena consapevolezza di non potercela mai fare.
E allora ripasso anche il giorno prima, ascolto inutilmente la radio cinese mentre mi vesto e guardo le puntate di Peppa Pig in cinese con i miei figli, il tutto senza afferrare mai più di una parola per giorno. Pas mal. Insomma mi applico, inutilmente, ma mi applico.
Ma mentre io ho ripreso fiducia in me stessa, il maestro Wang deve, invece, averla persa perché ultimamente, nonostante mi ostini a blaterare parole senza senso nel suo idioma, lui mi risponde sempre più spesso in inglese, a volte in spagnolo e proprio l’altro giorno mi ha persino chiesto come si dicesse Monday in italiano.
“Primo giorno della settimana” gli ho risposto “but there is also a more casual way to say it – Lunedì !” Chi la fa, l’aspetti.


Commenti

  1. Brava, ben gli sta;). Le mie bimbe studiano mandarino a scuola e mi chiedono di indovinare cosa dicono. Io dopo 2 anni ho malapena imparato a riconoscere il suono della parola Australia. Peppa Pig non ce la posso proprio fare!
    Complimenti per la costanza e non mollare!

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    Risposte
    1. Non sapevo che il Mandarino cinese fosse una lingua ufficiale in Australia :-))
      Sono ormai ovunque. L'inglese è superato !

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